Nel seminterrato del marketing

Nel seminterrato del marketing

Ho letto una volta, non ricordo più dove, una definizione di storytelling piuttosto curiosa quanto mai azzeccata: “seminterrato del marketing”. Nel senso che se il marketing fosse una bella casa americana in stile vittoriano con la veranda esterna, il prato sempre ben curato e lo steccato appena ridipinto, lo storytelling sarebbe un seminterrato semibuio, polveroso e pieno di ragnatele, che però nasconde tesori capaci di incrementare del duemila percento il valore della casa, se soltanto il proprietario sapesse che sono lì.

Le storie che raccontiamo lavorano su due livelli, due “orizzonti distinti”, come direbbe lo psicologo Jerome Bruner, che corrispondono né più né meno a due livelli della coscienza umana: uno più superficiale fatto di immagini, suoni, sapori, odori che possiamo facilmente ricondurre alla nostra vita quotidiana; l’altro, quello che sta più in profondità, fatto di emozioni, passioni, frammenti di ricordi. Là sotto ce n’è di roba e si tratta di un vera e propria raccolta di tesori nascosti che chiunque lavora nel marketing dovrebbe ambire a scoprire. Perché? 

Lo scrittore Will Storr ci dice che “nelle storie ben raccontate assistiamo a una costante interazione tra superficie del dramma e la dimensione subconscia. I personaggi di una buona storia vivono continuamente un conflitto tra superficie e profondità che si riflette inevitabilmente in chi legge”; è un po’ come se il lettore dicesse «Ehi, quel tesoro ce l’ho anch’io, nel mio seminterrato!». Condividere le emozioni, i turbamenti, le passioni di un personaggio significa far propria una storia e di conseguenza renderla memorabile.

“La modalità di comunicazione”, scrive un esperto di storytelling come Robert McKee, “che meglio si adatta alla mente, che meglio connette una mente all’altra, che avvolge la chiarezza di un messaggio razionale in un involucro emotivo conferendole il potere di rimanere impressa è la storia”.

Un prodotto o un brand sono memorabili perché la loro storia è la mia, fanno parte di me; non siamo soltanto vicini di casa, ma scopriamo che nel nostro seminterrato condividiamo gli stessi tesori

Quando nel video pubblicitario di un celebre franchise vediamo un bambino in sedia a rotelle vestito da Maestro Jedi, non solo ci commuoviamo per il suo handicap ma ci convinciamo che chiunque può essere un Jedi, affrontare a testa alta qualunque difficoltà, se ha la Forza che scorre dentro di sé.  

Non è necessario essere esperti di marketing per sapere che al giorno d’oggi la maggior parte degli utenti ignora la pubblicità, quando non la fa sparire dalla propria vista con ogni mezzo possibile. 

Concentrarsi invece sulle tecniche e le potenzialità di una buona storia vuol dire essere in grado di imparare a “catturare, mantenere e ricompensare l’attenzione del pubblico” (McKee).

Io non investirei mai su una bella casa che non abbia un seminterrato. 

 

Per approfondire:

Guido Ferraro, Teorie della narrazione. Dai racconti tradizionali all’odierno storytelling, (2020, Carocci Editore)

Robert McKee, Thomas Gerache, Storytelling aziendale, (2019, Unicomunicazione)

Will Storr, La scienza dello storytelling. Come le storie incantano il cervello, (2020, Codice Edizioni)

di
Maurizio Landini
Content writer e narrative designer

Se scrivo è colpa della musica. Mi è capitato un bel po’ di anni fa, ascoltando una cassetta nuova di zecca di Jean Michel Jarre, Rendez-vous, per essere precisi. Volevo in qualche modo metterla su carta e sono nate le prime poesie. Poi è successo che entrambe, la musica e la scrittura, non mi lasciassero più. Due sogni? Lavorare scrivendo e avere molti synth. Il primo si è avverato; al secondo ci sto lavorando.

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