02 Feb La prima regola di Clubhouse è: parlare di Clubhouse
La prima regola di Clubhouse è: parlare di Clubhouse
Ovvero tutto quello che vorreste sapere sul social del momento e, soprattutto, cosa ci potranno fare i brand.
Ieri sera ero nella stessa stanza con Elon Musk e avrei pure potuto tirarlo per la giacca (o la felpa) per fare quattro chiacchiere con lui (e altre 5000 persone). Impossibile? No, se sei entrato nel magico mondo di Clubhouse!
Arrivato in Italia la scorsa settimana, il social solo vocale, creato da Paul Davison e Rohan Seth nell’aprile dello scorso anno, sta spopolando tra gli addetti ai lavori di marketing e comunicazione, al punto che ho visto gente passarci dentro l’intero weekend.
Ma di cosa stiamo parlando, e soprattutto, è un canale che vale davvero tutta questa attenzione?
In breve, si tratta di una piattaforma social che si utilizza in maniera molto molto facile (Paolo Iabichino l’ha definito “il Beghelli dei social”): una volta entrato puoi vedere sul calendario le conversazioni in programma (si chiamano room) e unirti al gruppo con un tap. A quel punto puoi ascoltare, oppure alzare la mano e parlare.
In maniera altrettanto semplice si può anche aprire una propria room, di cui a quel punto si sarà anche moderatori.
E poi? E poi niente, si parla, si ascolta, si chiacchiera, proprio come nel mondo reale.
Ma allora cos’ha di tanto speciale? Perché in effetti qualcosa di speciale ce l’ha e pure io, che detesto parlare al telefono e che per indole mi rifugerei su un’isola deserta, ne subisco il fascino in un misto di repulsione e dipendenza.
La democrazia. Quando sei in una room non importa se sei Mario Rossi o la regina d’Inghilterra, la conversazione è alla pari e tutti chiacchierano in allegria.
L’“effetto Andy Warhol”. Quando parla in una room, ognuno può avere i suoi 15 secondi di celebrità. Per di più l’accesso è su invito, con tanto di lista di attesa, per sentirsi di nuovo le reginette della festa, in un mondo in cui di feste non ce ne sono più da un bel po’.
La conversazione fine a se stessa. Spesso nelle room si chiacchiera senza uno scopo, per il puro gusto della conversazione e della relazione, senza doversi per forza “portare a casa qualcosa”. Forse si chiacchiera anche solo per sentirsi meno soli, come alla fermata dell’autobus o al parco o all’ufficio postale. Roba da esseri umani insomma.
La sperimentazione. Ieri ho visto che in alcune room le persone si trovano per stare in silenzio (si chiamano silent room), in altre leggono libri e poesie, o fanno musica. Sana sperimentazione insomma, senza secondi fini. Non se ne vedeva da un po’.
La voce. Su Clubhouse si parla e basta, senza potersi vedere. Una rivincita sullo strapotere degli schermi e dell’apparire, che sta dentro un trend consolidato di ritorno all’oralità che parte dai podcast e arriva ai comandi vocali. La voce ci fa sentire vicini e ci rassicura, anche se dentro il buio delle caverne, al di là dei falò, non riusciamo a vederci.
Ci sono solo lati positivi? Sicuramente no. Il problema della moderazione dei contenuti è centrale, e vi lascio solo immaginare cosa può succedere dentro room in cui si parla di politica o peggio. Per non parlare dell’assuefazione che provoca, tanto più potendo usare la piattaforma anche in mobilità facendo altro. Luci e ombre insomma, come per tutti gli strumenti digitali.
Di certo Clubhouse si può collocare tra i cosiddetti “giochi da grandi” (mio figlio di 14 anni lo disprezza allegramente), e si sa che all’essere umano, soprattutto se lavora nel mondo della comunicazione ed è logorato da mesi di mancanza di eventi, aperitivi e serate di networking, giocare con gli altri umani piace un bel po’.
Sarà vera gloria? Difficile dirlo ora, a meno di una settimana dallo sbarco in Italia. Di sicuro se gli “abitanti” di questo nuovo territorio digitale cresceranno, potrebbe diventare un luogo interessante anche per le aziende, come strumento di ulteriore vicinanza con la proprie community o di engagement dei propri dipendenti e collaboratori: mai come in questo caso sarà vero che – come recita il sempre attuale Cluetrain Manifesto – “i mercati sono conversazioni”.
Nel dubbio, mi trovate su Clubhouse il giovedì dalle 14 alle 14.15 a chiacchierare con il collega Massimo Benedetti di storytelling. Se serve, vi mando un invito! 😉
di
Gaia Passamonti
Founder, storytelling specialist
Umanista, progetto strategie di comunicazione per esseri umani per Pensiero visibile e storie da ascoltare in podcast per Storie avvolgibili.