Verso l’etnografia digitale e oltre.

Verso l’etnografia digitale e oltre.

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Etnografia digitale è quel gesto che riconosci e che senti tuo, quella parola che hai usato per descrivere meglio il concetto, un’abitudine che non ti eri reso conto di avere, è quella foto che hai scattato perché anche tu volevi provare.
È tutto quello che di umano esiste e che dagli umani viene condiviso, discusso, amato, odiato, subìto, rappresentato, fotografato.

In questo infinito mondo di comportamenti, abitudini, rappresentazioni, commenti, foto e gesti, l’etnografo digitale ricerca, osserva, studia, compara e mappa, privo di pregiudizi e senza condizionamenti esterni.

Digital Ethnography outlines an approach to doing ethnography in a contemporary world. It invites researchers to consider how we live and research in a digital, material and sensory environment. This is not a static world or environment. Rather, it is one in which we need to know how to research in it as it develops and changes. Digital Ethnography also explores the consequences of the presence of digital media in shaping the techniques and process through which we practice ethnography, and accounts for how the digital, methodological, practical and theoretical dimensions of ethnographic research are increasingly intertwined.

La ricerca non è staticamente inquadrabile all’interno dei confini, seppur piuttosto malleabili, dell’etnografia. A questa si possono affiancare diversi modi di osservare, ascoltare, mappare, analizzare per:

afferrare il punto di vista dei soggetti osservati, nell’interezza delle loro relazioni quotidiane, per comprendere la loro visione del mondo.

Uno di questi modi è il questionario, un insieme di domande che possono aiutare a comprendere e chiarificare uno o più aspetti della ricerca.
Nota bene: uno non esclude l’altra, anzi, uno completa l’altra. L’etnografia digitale è solamente una prospettiva attraverso la quale osservare il mondo di cui anche il questionario e le sue risposte fanno parte.

Per mettere alla prova questo modo di osservare e spiegarlo meglio anche a te, lettore, abbiamo deciso di somministrare un questionario sull’interprete di un tema che ci sta davvero a cuore: l’umanista. Proprio perché ci sta così a cuore, spesso non siamo in grado di guardarlo da una prospettiva oggettiva, non viziata dal nostro punto di vista che, ormai, ci guida in questa direzione da molti anni.

Proprio qui entra in gioco l’etnografia perché, come scrivevamo poco sopra, l’etnografo osserva oggettivamente, senza condizionamenti, per mappare i comportamenti (dell’umanista).

Abbiamo fatto nove domande per comprendere più a fondo quali potessero essere l’identità e il ruolo dell’umanista oggi: di cosa si occupa? Cosa fa nel tempo libero? Quali i luoghi che frequenta? Le sue competenze? Che lavoro fa e quali strumenti usa? Tutte queste domande ci hanno aiutato a tracciare un percorso, delineando il territorio di ricerca, all’interno del quale si sono, in un secondo momento, inserite le risposte: gli insight da analizzare.

L’umanista è emerso avere la passione per la lettura, frequentare mostre d’arte, biblioteche, teatri e, nel suo lavoro di insegnante, scrittore, ricercatore o copywriter, occuparsi spasmodicamente di scrittura e letteratura.

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Il risultato di questa ricerca è sicuramente sconfortante. La maggioranza delle 467 persone che hanno risposto al nostro questionario posiziona l’umanista al centro di un cliché senza via d’uscita: l’umanista non fa che leggere, scrivere e frequentare mostre d’arte.

Siete d’accordo?

Noi no.

Tuttavia, questi insight ci fanno capire che la percezione dell’umanista, soprattutto nel lavoro, ha difficoltà a slegarsi da una concezione ormai compassata e che ha fatto il suo tempo.

Per noi l’umanista ha la capacità di lavorare nel digitale districando le matasse che, spesso, chi ha una preparazione verticalizzata non sa guardare dalla giusta prospettiva. Con i suoi kg di pazienza, il suo mouse e la sua tastiera, un po’ di carta e penna e tanto cervello (l’avete detto voi, eh) è in grado di aggiungere quello che manca… a un’agenzia di comunicazione, a uno studio che sviluppa software, che progetta, che si occupa di design, consulenza o art direction.

E noi di Pensiero visibile lo sappiamo bene perché lo viviamo in prima persona, tutti i giorni: tra di noi c’è chi ha studiato lingue, chi lettere moderne e classiche, chi comunicazione, chi ha deciso di specializzarsi e dedicarsi anima e corpo all’advertising e poi ci sono un’etnografa e una ux designer che li osservano, li studiano e mappano i loro comportamenti in maniera imparziale: piacere, Camilla e Vittoria!

Se questo articolo ti ha incuriosito e vorresti approfondire i cosa, come e perché dell’etnografia digitale, ti raccontiamo tutto qui. Non vediamo l’ora di sentire la tua esperienza di osservazione al supermercato, oppure all’interno della tua community digitale preferita.

di
Camilla Del Zotto
Content editor e netnographer

Io sono Camilla, amante delle piante, degli spaghetti, dei mercatini dell’usato e di un’estetica un po’ rétro. Tra una fanzine e l’altra, leggo anche qualche romanzo gotico ascoltando João Gilberto e i Tamba Trio sul mio divano, in mezzo alla giungla del mio appartamento. E quando arriva l’inverno scaldo tutti con grosse sciarpe di lana fatte a mano!

Pensiero visibile- Vittoria De Battisti

di
Vittoria De Battisti
UX Designer

Io sono Vittoria e credo ci sia sempre un modo per rendere le cose più semplici, autentiche e comprensibili. E io lo cerco, lo ricerco, forse non sempre lo trovo.
Mi piace leggere biografie, adoro le vellutate, i miei nonni e i miei gattini. Quando sono sovrappensiero (spesso) conto a mente le lettere all’interno delle parole, ma non chiedetemi come riesca a farlo. Ho un debole per Lady Mary Crawley e un talento nel non conoscere film che chiunque potrebbe aver visto. Forse nel frattempo stavo pensando a Downton Abbey? Chissà.

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