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Intelligenza artificiale e lavoro creativo: intervista a Jacopo Perfetti e Federico Favot

Intelligenza artificiale e lavoro creativo: intervista a Jacopo Perfetti e Federico Favot

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Intelligenza artificiale generativa: come cambia il lavoro creativo con l’avvento di tecnologie come chat GPT e Dall-E?

Ne abbiamo parlato con Jacopo Perfetti, fondatore di Oblique.ai, autore e docente universitario che lavora all’intersezione tra intelligenza artificiale generativa, creatività e innovazione digitale, e Federico Favot, sceneggiatore, Headwriter e Creative Producer. Puoi ascoltare l’intervista qui.

Siamo a un punto di svolta per i creativi? Cosa cambia davvero?

F.F.: Sì, dal punto di vista del creativo puro l’idea è molto semplice, ma allo stesso tempo rivoluzionaria. È come avere dei superpoteri a disposizione che prima non avevi.

Non si tratta di far sì che l’intelligenza artificiale faccia il lavoro per te, ma si tratta di capire come interrogarla al meglio per far sì che il tuo lavoro possa essere più produttivo, potenziato. È come se tu avessi la possibilità di pescare da questa gigantesca coscienza collettiva in un modo che prima era impossibile anche solo immaginare. È prima di tutto una rivoluzione di mindset, non tanto di tool, perché è abbastanza facile, con il mindset giusto, utilizzare l’intelligenza artificiale a tuo favore. Quindi il primo step da fare è quello di vedere l’intelligenza artificiale per quello che è, cioè un aiuto e non una minaccia. Si tratta veramente di unire la creatività umana con questo incredibile tool che ti permette, appunto di potenziarla, quindi di fare quello che prima avresti fatto in  una settimana, in un’ora o in mezz’ora.

Questa cosa apre degli scenari che al momento sono abbastanza imprevedibili. Adesso siamo pronti a quella che potremmo chiamare rivoluzione industriale della creatività, nel senso che la macchina è arrivata a entrare in un settore che per per secoli, millenni è stato puramente umano, che è quello della creatività, del pensiero creativo.

Partiamo dunque dal presupposto che nessun creativo, ma in generale nessun professionista, può dal mio punto di vista ignorare questa enorme rivoluzione. Detto questo, è una rivoluzione che secondo me ha due tipologie di impatti: una di tipo quantitativo, l’altra di tipo più qualitativo.

J.P. La domanda che noi ci dobbiamo porre adesso è: cosa possiamo fare che prima non potevamo? Non solo per risparmiare tempo, ma anche proprio in termini qualitativi?

Se dobbiamo realizzare una campagna creativa l’intelligenza artificiale ci può far risparmiare tempo e soldi, ma dall’altra parte si possono fare cose che prima non potevamo, per esempio una campagna di comunicazione cento per cento personalizzata, una storia che è stata generata per me, un’immagine che è solo per me.

Parlate di cambiare il mindset dal punto di vista del creativo. Qual è il salto da compiere? Come posso dare delle istruzioni alla macchina perché sia al servizio della mia creatività e del mio lavoro?

J.P.: Questa è una grossa prova di creatività. Secondo me i veri creativi si vedranno adesso, nel senso che l’esecuzione viene delegata a una macchina con la quale bisogna saper dialogare. E la cosa veramente stimolante, almeno per me, è che per dialogarci devi avere delle conoscenze quanto più trasversali.

Per esempio, se vuoi lavorare per bene con DALL-E devi sapere come funziona una macchina, ma devi anche sapere quali sono i filtri fotografici. Devi conoscere tanti artisti, per dargli dei riferimenti di stile, e questa è una vittoria, paradossalmente, della mentalità creativa classica, umana, culturale su quella meccanico scientifica.

Per utilizzare al meglio queste macchine è necessario un background quanto più orizzontale, trasversale, se non addirittura obliquo.

All’interno del nostro corso Prompt, chi parla? (un nome bellissimo che ha trovato Federico) insegniamo proprio ad avere questa mentalità poliedrica così che la macchina esegua quello che tu hai nella testa.

F.F.: Adesso si tratta di sperimentarsi e liberare quell’energia: essere molto più ambiziosi, rischiare molto di più perché ora possiamo percorrere dieci venti, trenta strade nella stessa mattinata.

E quindi chiaramente, se la creatività, come amiamo ripetere, è l’unione di cose esistenti combinate in maniera inedita per creare qualcosa di utile e nuovo, più stimoli hai, più hai possibilità di collegare queste sinapsi, più la creatività esplode. Questo è un altro tipo di approccio che uno può avere con l’intelligenza artificiale.

Insomma, quasi una rivincita degli umanisti.

So che è difficile prevederlo, però: quali limiti immaginate per queste tecnologie? L’intelligenza artificiale oggi non può provare empatia, o non è in grado di cogliere degli aspetti estremamente umani come il senso dell’umorismo. Questo cambierà o ci saranno delle cose che resteranno peculiarmente umane?

J.P.: Penso che l’unico limite che molto difficilmente verrà superato sia quello fisico. Queste macchine sono bravissime a imparare dall’essere umano e lo fanno ogni secondo, quindi saranno sempre più bravi a imitarci e tutto quello che è decodificabile probabilmente verrà riprodotto.

Ma la fisicità sarà difficile da raggiungere.

È verosimile che una macchina a un certo punto sappia parlare in modo empatico, ma sappiamo che l’empatia non è fatta solo di parole o non è data solo dal tone of voice, ma è anche un’energia, una scintilla che scatta nel momento in cui avviene qualcosa di fisico, come un abbraccio, o una mano appoggiata sulla spalla mentre ci si confida.

Ma anche per quanto riguarda la capacità di generare idee creative: le macchine saranno in grado di dipingere qualcosa di Picasso, ma non saranno mai in grado di vivere la vita Picasso che ha vissuto, con le tragedie, la passione, l’amore e l’odio che hanno generato Guernica. E noi ci innamoriamo di Guernica non solo perché è bella esteticamente, ma perché trasmette quell’emozione che deriva dalla vita dell’artista, la storia che ha portato al prodotto finale.

F.F.: La velocità supersonica con cui ogni giorno nascono nuovi tool è inedita.

Quanto velocemente il nostro cervello, che già fa fatica da molti anni ad adattarsi a tanti cambiamenti, potrà abituarsi? Quante persone riusciranno a stare al passo? 

C’è un tema di coscienza ma anche – dico una parolaccia – un tema spirituale: molto di quello che faccio viene da dentro, da stimoli spesso conosciuti anche a noi stessi. E penso che questo sia difficile da trasmettere a una macchina, anche per chi la programma.

Come cambierà l’esperienza di fruizione delle storie dal lato utente/spettatore? Cambierà il nostro modo di leggere o di guardare?

J.P.: Questa è una cosa su cui rifletto spesso, perché io penso che ci sarà un limite, un punto che non si supererà, che non sarà però dovuto alla tecnologia.

Già oggi avremmo i mezzi per rivoluzionare completamente qualsiasi tipo di esperienza utente: penso a Netflix e al fatto che potremmo avere dei film personalizzati, o dei libri che offrano anche immagini generate al momento sulla base di un input del lettore. 

Ma il punto è la fatica di fruizione. Abbiamo davvero voglia di vedere questi contenuti rispetto, per esempio, a una puntata di Friends? Come è accaduto anni fa al cinema con gli occhiali 3D: sembrava una rivoluzione, ma non ha avuto seguito. Un simile destino è toccato a Second Life o al Metaverso: io non credo che gli umani abbiano davvero voglia di questo, le relazioni sono molto più belle dal vivo.

F.F.: Anche io credo che qui il limite sia quello umano. Pensa solo a quanto tempo uno passa sull’interfaccia di Netflix prima di scegliere qualcosa.

Immaginiamo di avere la possibilità di infinite narrazioni: non guarderemmo nulla!

Oltretutto, noi guardiamo film e leggiamo romanzi per vivere l’esperienza che altre persone hanno vissuto, oppure per scoprirne il punto di vista.

Se tutto questo è affidato alla macchina, che il punto di vista non ce l’ha, magari tirerà fuori una narrazione anche divertente o esplosiva, ma dal punto di vista della profondità non ti darà quello che cerchi. Quando cerchi una buona storia cerchi empatia, riconoscimento, emozione.

Già adesso, per chi fa per esempio lo scrittore o lo sceneggiatore, la macchina non crea dei contenuti buoni, però può aiutare tantissimo a migliorare il modo in cui tu racconti le storie, a pezzettini. Non è possibile ora dire alla macchina “raccontami questa storia” e ottenerne una davvero buona. Spero che non si arrivi mai a quel punto, perché non serve a nessuno.

Ci sono aspetti che vi lasciano perplessi o che vi preoccupano, sui quali secondo voi è meglio tenere gli occhi aperti?

F.F.: C’è un tema di copyright che è molto sensibile.

Nel senso che se io creo una nuova immagine, ma quell’immagine è derivata da altre milioni di immagini coperte da copyright le cose si complicano. Ci sono già delle class action contro alcune di queste compagnie. Ci si muove a partire dalla domanda: quell’opera lì è totalmente originale, è totalmente mia oppure appartiene alla software house? 

Quando leggo che l’Unione Europea vorrebbe obbligare la dicitura “Creato da un’intelligenza artificiale” sulle cose mi sembra che vada in una direzione totalmente opposta al buon senso, una classica cecità di chi vuole regolare la novità senza conoscerla fino in fondo. Ma è un tema che chiaramente andrà affrontato.

J.P.: Personalmente una delle cose che mi preoccupa di più è il deep faking, la possibilità di alterare dei video (e audio) in maniera totalmente realistica.

Lo penso, per esempio, nell’ambito del cyberbullismo, avendo due figli.

Nel mio essere estremamente ottimista devo dire che l’unica cosa positiva che vedo in questo è che secondo me le generazioni future, dall’alfa in avanti, avranno sviluppato una consapevolezza relativa al video e all’immagine digitale tale per cui, probabilmente, la metteranno in discussione a priori, non crederanno necessariamente a quello che vedranno in un video.

Spero che si inculchi in loro il famoso dubbio cartesiano rispetto a tutto quello che vedono in digitale. Quindi forse ci sarà una diminuzione drastica delle fake news, del passaparola poco virtuoso e si tornerà a credere a quello che si approfondisce.

La mia speranza è che questa ondata ci allontani dalla superficialità per cui adesso leggiamo ormai solo i titoli, guardiamo i primi secondi di un video e pensiamo che quella sia la verità. Spero che per questa generazione, su cui ho moltissime speranze, ci sia una rinascita anche dal punto di vista della consapevolezza.

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