Il viaggio dell’eroe tra mitologia, vita reale e comunicazione

Il viaggio dell’eroe tra mitologia, vita reale e comunicazione

Di quanti cartoni ti sei innamorato da piccolo? E di quanti ti ricordi ancora a memoria scene, dialoghi e stile? Sarei pronta a giurare di quasi tutti. Come succede a me! I cartoni animati scandivano la mia routine quotidiana: sveglia, colazione, cartone, scuola, casa, merenda, cartone, compiti, cena, cartone, letto. Repeat e rewind, per anni. Gli anni più belli e spensierati, diciamolo. 

Ma se ti dicessi che c’è un aspetto che  accomuna tutti i cartoni e le fiabe che ricordiamo con tanto affetto? Nella storia potrebbero esserci i personaggi più inconsueti: un grazioso pesciolino arancione che deve raggiungere Sydney, un pirata con il terrore dei coccodrilli o due amici strani ossessionati dall’ora del tè. Non cambia il fatto che qualsiasi serie animata assomiglia incredibilmente alle nostre vite: tutto sembra dirci “oddio, ma è della mia vita che parla questa storia!”, dalla trama, agli eventi clou, ai personaggi. Pensaci, quante affinità puoi trovare tra la tua vita e la storia travagliata di Dorothy o a quella rischiosa di Aladdin. 

A riflettere su questo tema ci hanno pensato numerosi studiosi e autori, tra cui Christopher Vogler nel suo Il viaggio dell’Eroe (sì, sei tu l’eroe della tua storia, tienilo a mente per dopo). Lo sceneggiatore di Hollywood ed ex collaboratore Disney sovrappone le trame più disparate con le nostre vite e tutto torna: che tu sia un fotografo freelance o una dottoressa in carriera, troverai delle similitudini.

L’universo Disney ha creato un immaginario legato al sogno, alla fantasia e al “vissero per sempre felici e contenti” per numerose generazioni.

Tutto questo accade perché il nostro cervello è narrativo, ovvero legge e interpreta la realtà attraverso il racconto. Ecco perché le storie, qualsiasi storia, sembra parlare di noi: perché non possiamo fare altrimenti che assecondare il nostro essere animali narrativi. Sono concetti a cui ha dato una forma lo studioso americano di mitologie comparate Joseph Campbell: lui lo chiama “monomito”, ma in parole povere significa che la trama di base di tutte le storie (e per tutte intendo tutte) che l’essere umano ha prodotto e produce è la stessa; a cambiare sono solo la forma e lo stile. Lo schema narrativo si sviluppa secondo un percorso circolare diviso in due ambienti diversi, opposti ma complementari. Il Mondo ordinario rappresenta una condizione statica, di consueta routine, di cui si conoscono regole e abitanti e che contrasta nettamente con il Mondo straordinario, luogo del cambiamento che apre gli occhi in un universo nuovo, dalle regole sconosciute e dal quale si ritorna trasformati. I due mondi non sono da intendere necessariamente come luoghi fisici, ma possono essere rappresentati dalla condizione personale del personaggio che cambia repentinamente in seguito alla cosiddetta chiamata all’avventura. Questo evento scatenante può verificarsi con l’inizio di un percorso di studi, di un nuovo lavoro, di un trasferimento in una lontana città o di un innamoramento fulmineo. Scombussola, sconvolge, ma ristora. A te viene in mente un superamento della soglia del genere? 


Ma non sono tutte rose e fiori nel Mondo straordinario, anzi. Diciamolo alla coraggiosa Katniss Everdeen che nella saga di Hunger Games si trova catapultata in un’arena di morte per il divertimento dei frivoli e sadici abitanti di Capitol City. Un mondo che permette la crescita personale tramite costanti pericoli, fino alla prova centrale e più rischiosa. Non è una passeggiata, ma permette all’eroina di maturare come non avrebbe mai fatto nel suo monotono e polveroso Distretto 12.

Gesto simbolico riconoscibile di Hunger Games: “Possa la fortuna essere sempre a vostro favore”

Le tappe che l’eroe si trova a percorrere nel proprio viaggio sono molteplici, ma tutte orientate al completamento della missione che l’ha portato nel Mondo straordinario. Quindi, l’eroe oltrepassa la soglia che lo porta in questo nuovo universo (a livello fisico o anche solamente concettuale) in cui, tramite l’aiuto del saggio mentore, riesce a comprenderne le regole e le consuetudini. Pensiamo alla giovanissima protagonista di Stranger Things, Undici alias Jane, che impara a conoscere il mondo degli anni ‘80 dopo essere fuggita dal laboratorio in cui era tenuta prigioniera. Grazie ai gruppetto di amici un po’ nerd, che rappresentano la figura del mentore, impara ad vestirsi da “signorina”, a usare un walkman e ad andare in bicicletta. E scopre di amare i waffle. 

Ritornando al modus operandi del viaggio dell’eroe: vi è, in seguito, un passo falso dell’eroe che fa tintinnare la situazione. Ma, nonostante ciò, con sacrificio e fatica riesce nella sua impresa ad “uccidere il drago” e recuperare il tesoro. Missione compiuta. Tipo quando la banda del Professore nella Casa di Carta, famosissima serie Netflix, fa irruzione nel Mondo straordinario della Zecca di Stato di Spagna e, tramite un piano infallibile, riesce a trovare i lingotti nell’impenetrabile cassaforte. Pare andare tutto bene finchè non entrano le forze speciali armate aggirando i piani della banda (passo falso) e sembra ormai impossibile uscirne indenni. Dopo appassionanti stratagemmi del Professore, cervello e capo dell’operazione, i nostri affezionati criminali riescono ad uscire indisturbati dalla Zecca alludendo le forze armate portando fuori tutto il tesoro, non senza significativi sacrifici. 

L’eroe ora è cambiato, è cresciuto ed ha acquisito esperienza. Ora può tornare al suo Mondo ordinario per mettere a disposizione della comunità ciò che ha imparato. Nel caso della banda della Resistencia saranno abilità diverse da quelle di Undici, ma il succo è sempre quello.

La maschera di Salvador Dalì viene utilizzata dalla banda di nella serie Casa di Carta per non mostrare il volto. È diventata un simbolo di rivoluzione e resistenza contemporanea, insieme all’inno partigiano Bella ciao.

Il viaggio dell’eroe è un modello di narrazione che può guidare anche la comunicazione aziendale a patto che venga adottato come mindset in fase di progettazione. Ed ecco svelato da dove nasce lo storytelling! Prendendo in considerazione i passi che il protagonista compie nella storia attraverso le tre fasi fondamentali: la separazione dal Mondo ordinario, l’iniziazione, in cui l’eroe affronta intense prove nel Mondo straordinario, e il ritorno nella realtà che aveva lasciato, accompagnato dalla consapevolezza, dalla saggezza e dall’abilità che ha acquisito lungo la strada.
La particolare narrazione parla direttamente al nostro inconscio, proprio tramite l’utilizzo di archetipi: figure simboliche in cui ognuno può riconoscersi introdotte da Carl Gustav Jung e riprese da Joseph Campbell, cardine per eccellenza della narratologia.
L’incrocio dei saperi apportati da Jung e Campbell porta alla comprensione della struttura mitologica dell’archetipo applicata al cinema e alla televisione insieme alla mutevolezza dei ruoli dei personaggi nel corso dell’avventura. Elementi che accompagnano anche la nostra di crescita personale.
Uno, nessuno, centomila sono le maschere che indossiamo quotidianamente, in base al contesto e all’interlocutore. Anche Pirandello ci aveva visto lontano. Quanta verità! Il viaggio dell’eroe è la storia della vita di tutti noi.

“La stessa storia, raccontata infinite volte con innumerevoli varianti, va a ricalcare gli antichi modelli del mito.”

Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti

L’eroe, tra gesta, prove e bivi, ci ricorda le nostre sfide quotidiane, alcune più decisive, altre meno,  in cammino verso la definizione di noi stessi. L’eroe, appunto, è quel personaggio che compie un viaggio alla ricerca di quel qualcosa che possa completarlo: la ricerca dell’elisir, del suo Io. Non pensare che tutti gli eroi siano coraggiosi, valorosi e senza paura! Molti rifiutano la chiamata all’avventura per poi tornare nei propri passi e farvi fronte. Nei film, nei cartoni e nella fiabe, il pubblico si identifica sempre nel personaggio, con pregi e difetti, che cresce ed evolve. Siamo Ariel, determinata e incosciente; siamo furbi e impulsivi come Robin Hood e altruisti e incerti come William Turner della saga Pirati dei Caraibi. Ci identifichiamo in noi stessi nel percorso di vita.

Il giovane Harry Potter accetta la chiamata all’avventura verso il Mondo straordinario dei maghi di Hogwarts salendo nel celeberrimo binario della stazione di Londra.

A volte siamo, invece, mentori di qualcun altro: cioè prendiamo le parti del personaggio che consiglia, che è la coscienza dell’eroe e lo motiva. Lo incoraggiamo a fare sempre meglio. A volte possiamo essere il grillo parlante di noi stessi, la spinta all’azione e alla riflessione. Pensa a Mago Merlino, alla Strega del Nord, allo Stregatto. Personaggi vicini all’eroe (o all’ eroina) che lo guidano alla scoperta nel Mondo straordinario. Nella quotidianità è quell’amico che è tra gli amici preferiti di Facebook, che dice “te l’avevo detto”, che ascolta gli infiniti audio (anche a 1.5x) e che ci offre quello spritz dopo una giornata no, tanto per parlare. Lui è il mentore. E noi il suo, ovviamente. Be a loyal friend.

Una figura controversa è quella del shapeshifter, il mutaforma. Quel compagno di classe o quel collega nella scrivania di fronte che non riesci mai a inquadrare, che non si mostra effettivamente per come realmente pensi che sia. Magari quello che ti scrive una volta per quattro chiacchiere e poi sparisce per mesi o che rimanda all’ultimo minuto: ci tiene o non ci tiene? Instaurare dubbi e dare suspance alla storia è il suo ruolo. Un ruolo spesso in antitesi con quello dell’eroe. Possiamo esserlo anche noi stessi nei confronti di altri, infatti è una maschera che può essere indossata da qualsiasi personaggio. Pensiamo a Piton: ci ho messo anni e molti rewatch della magica saga per comprendere se fosse effettivamente buono o cattivo (e ho ancora diversi dubbi).

Cosa impariamo da tutto questo? Che se ci rifacciamo alla teoria della narrazione e al viaggio dell’eroe per progettare la comunicazione corporate, possiamo lavorare a contenuti e messaggi che si sintonizzano più efficacemente con il pubblico di riferimento. Le prove impegnative, gli alleati affidabili e i nemici imprevedibili, l’obiettivo di conquistare una ricompensa e tornare a casa cambiato: tutte tappe delle storie che leggiamo, vediamo, ascoltiamo e viviamo ogni giorno.  E che, da addetti ai lavori, possiamo riconoscere nello storytelling progettato saggiamente, cioè quello che fa sentire le persone capite, incluse, incoraggiate, rassicurate, divertite, migliori. Il tono di voce della comunicazione, citando la copywriter e autrice Valentina Falcinelli, è “una sintesi di due cose: quello che l’azienda vuole comunicare di sé e le emozioni che provano le persone che vi entrano in contatto”; è quel tocco che permette ai brand di far sentire le persone accolte in un gruppo vasto di nostri simili, ci sentiamo bene ad essere umani (qualcuno ha detto community?). Nella comunicazione come nella vita.

Approfondimenti:

Christopher Vogler, Il viaggio dell’Eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema, Audino editore, 2010

Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Lindau editore, 2016

Valentina Falcinelli, Testi che parlano. Il tono di voce nei testi aziendali, Franco Cesati editore, 2018

di
Asia Galvani

Ho un talento naturale nel consigliare serie tv e podcast alle persone che conosco. Non posso fare a meno di guardare ammaliata i soffitti alti – meglio se affrescati – e lo skyline che i tetti disegnano in cielo al crepuscolo. Libri fantasy e serie tv mistery sono all’ordine del giorno insieme alla musica indie e commerciale che ormai non piace più a nessuno.

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