Quando capita di essere angeli prima che scienziate.

Quando capita di essere angeli prima che scienziate.

Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti, questi i nomi delle tre ricercatrici italiane che hanno isolato il coronavirus.

Ogni volta che scriviamo un testo – un articolo, un post su Facebook o un messaggio su Whatsapp – scegliamo le parole per comunicare concetti che abbiamo nella nostra testa, ma dobbiamo essere coscienti del fatto che, nella mente di chi ci legge, stiamo aprendo la porta a un universo di significati associati.

Se utilizziamo per esempio la parola “nido”, ci verrà in mente il rifugio degli uccellini, un luogo sicuro per le uova, ma penseremo anche alla casa o a un luogo confortevole, così come alla famiglia e via dicendo. 

La mente umana funziona così, per scenari e associazioni. Non lo sappiamo tutti, non è una cosa che ci ripetiamo ogni volta che prendiamo in mano lo smartphone. Chi, come me, lavora nell’ambito della comunicazione ha però il dovere di esserne consapevole. Gli organi di stampa ogni giorno si rivolgono alle persone per informarle, non possono trascurare questa consapevolezza. Scegliere le parole con cura, per loro, non può essere secondario, lo devono a tutti i lettori e anche alla propria professionalità. 

Il 2 febbraio ho letto un articolo de Il Messaggero riguardo le ricercatrici italiane che sono riuscite a isolare il coronavirus di cui tanto si parla. Ne riporto il titolo: “Gli angeli della ricerca, le due scienziate italiane che hanno isolato per prime il coronavirus”. La parola angeli non è di certo una parola offensiva o dal significato negativo, ma il suo utilizzo apre la porta a un immaginario legato alla sfera ultraterrena, che poco c’entra con laboratori, virus e scienza. Dare a una scienziata l’appellativo di “angelo” significa passare il messaggio che è riuscita a fare una cosa impossibile, diciamo pure un miracolo, spostando l’attenzione da un lavoro ben fatto, grazie all’impegno, alla perseveranza e alla professionalità che la contraddistingue. La seconda parte del titolo ci introduce al tema dell’articolo, ma ormai è troppo tardi: le ricercatrici saranno sempre prima angeli che scienziate.

Alcuni pregiudizi sono talmente radicati all’interno della nostra mente, che non ci rendiamo neppure conto di utilizzarli. Non metto in dubbio le intenzioni di questo giornalista, saranno state sicuramente delle migliori, ma pensare a una donna come un angelo evidentemente è ancora più semplice che pensarla come una scienziata. Riconoscere questo limite è il primo passo per riuscire a superarlo. 

Questo è solo uno dei tanti casi in cui i media si fanno veicolo di stereotipi di genere radicati nella mentalità comune. Quante volte capita di leggere articoli in cui viene citata una professionista con il nome proprio, invece che con il cognome come accade per gli uomini, o riferendosi prima alla sua bellezza, al suo fascino o magari all’abito che indossava, piuttosto che alla sua carriera?

Restiamo nel caso delle ricercatrici dello Spallanzani. Il giornale online Open intitola l’articolo dedicato alla Dott.ssa Castilletti in questo modo: “Concetta Castilletti, la virologa che ha isolato il virus: «Una grande fortuna avere un marito che si svegliava di notte e cambiava pannolini»”. È un altro esempio di come sia diffusa sui giornali la prassi di parlare di donne cadendo in pregiudizi e luoghi comuni. Difficile leggere un articolo dedicato a un professionista uomo in cui si faccia riferimento alla fortuna di avere una moglie attenta ai bambini. Ma non c’è traccia di articoli sulle due ricercatrici italiane che non faccia riferimento ai figli, ai mariti e alla difficoltà di mantenere un equilibrio casa-famiglia. 

Sono sincera e lo dico a tutti coloro che, a vario titolo, usano le parole per informare: credo sia piuttosto avvilente trovarsi ancora a discutere di pregiudizi di questo tipo – che è solo uno dei tanti.  È arrivato il momento di far uscire questi luoghi comuni dalle teste di tutti, ma se è un obiettivo troppo ambizioso, intanto mi accontenterei di non leggerli più sulle colonne dei giornali nazionali che dovrebbero aiutare tutti noi a osservare, interpretare e capire il mondo con una consapevolezza maggiore. La parità di genere passa anche dall’utilizzo delle parole. Se non siete pronti a scrivere quelle giuste, intanto potreste evitare quelle offensive.

di
Sara Leano
Content editor

Sono Sara e il mio tempo lo passo più che altro nel regno della fantasia. Amo la pizza, i musical e le parole. Ho una mensola di libri in equilibrio precario che aspettano di essere letti e una lista infinita di serie tv che aspettano di essere guardate. Quando devo tornare alla realtà il mio mondo lo indosso sulle t-shirt.

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